13 – Il nuovo album dei Black Sabbath

Sono passati quarantaquattro anni da quando la band di Birmingham si è presentata al mondo con un concetto di Rock completamente diverso da quello che in quegli anni contribuiva alla cosiddetta “rivoluzione culturale“, presentandosi con un sound tetro e dalle tematiche buie, con una sonorità ricercata e unica.
Così, dopo una tempesta di voci di corridoio e smentite ufficiali durata tre anni, lo scorso anno il quartetto annuncia al grande pubblico il primo album in studio dopo 17 anni, album che secondo le aspettative di molti avrebbe contribuito a consacrare la band nell’Olimpo della musica Rock ancora una volta.

Ma tanti appassionati storcono il naso, ed ecco perché.

Aspettative e riscontri

I seguaci storici della band hanno sperato fino all’ultimo in veri e propri fuochi d’artificio, nuovi brani emblematici degni di rasentare i vecchi cavalli di battaglia quali: “Paranoid“, “War Pigs”, “Iron Man”, “Sabbath Bloody Sabbath” e atre ancora. Un ritorno alle origini? Un rispolvero? Diciamo “fifty-fifty”; l’album prende i Black Sabbath dei tardi anni novanta e li fonde al sound del più recente Ozzy Osbourne, data anche la presenza di un batterista sostitutivo che, guarda caso, è Tommy Clufetos, batterista della band solista di Ozzy, che prende il posto di Bill Ward (separatosi dalla band per propria intenzione) al quale tenta di avvicinarsi in quanto a ritmiche.

L’Album

Quando i “padri fondatori” del Metal pubblicano il loro manifesto definitivo.

Il tutto comincia con il brano “End of the Beginning” che da quasi il sentore che voglia essere un vero e proprio riferimento alla leggendaria “Black Sabbath”, (canzone da cui la band prende il nome) l’introduzione incalza lenta per poi trasformarsi con un ritmo più rimbalzante, che i cultori di lungo corso adoreranno.
Il singolo “God is Dead?” estratto dall’album in questione e “Loner” sono due brani che possono essere classificabili come due canzoni da “riempimento”, nulla di troppo impegnativo.
“Zeitgeist” è una sorta di riferimento musicale a “Planet Caravan” dall’album “Paranoid” (1970), ma molto più melodica e brillante.
“Age of Reason” lascia alquanto a desiderare poiché lenta e trascinata, forse un po’ troppo.
“Live Forever” entra con un ritmo tagliente e può essere considerato come il brano più vicino allo stile originario dei Black Sabbath insieme a “End of the Beginning” e “Damaged Soul”.
“Dear Father” rispecchia molto di più lo stile maturato da Ozzy Osbourne nei primi anni del 2000, poco da dire su questo brano, sennonché, un’ottima chiusura per un album tanto atteso.

Conclusioni

13 può essere definito un album ruvido, senza innovazioni, ma pieno di riferimenti ai vecchi baluardi storici che sicuramente può emozionare e sotto tanti aspetti sorprendere i fan più nostalgici questa band leggendaria, ma deludere chi li ha seguiti con un certo distacco, poiché possono risultare stanchi di inventiva e di innovazione, quasi stanassero in un “loop” musicale dal quale non sono mai riusciti realmente a distaccarsi. Ne tanto, ne quanto; questo album può essere definito un tributo di Ozzy Osbourne e Black Sabbath ai Black Sabbath.